Sono reduce dal commovente e coinvolgente film “la pazza gioia”, di Paolo Virzì.
Le attrici protagoniste, Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti, mi hanno fatto piangere.
È un film che parla di donne, della loro fragilità, della “non” sanità mentale delle donne e degli uomini.
E’ un film da vedere, che a me ha fatto riflettere su tanti aspetti della vita: l’alienazione, la follia, la sorellanza, la maternità, le belle azioni fatte da persone “non sane” e le atrocità fatte da chi invece è ritenuto/a normale.
Quello che voglio condividere con voi è solo un aspetto del film: il rapporto madre – figlio che viene tirato fuori durante il corso della storia e che ha fatto raggiungere alla pellicola la vetta dei miei film preferiti.
Donatella, interpretata da Micaela Ramazzotti, è una madre a cui i servizi sociali, hanno tolto il figlio Elia quando aveva neanche un anno. A causa dei suoi problemi psicologici, Donatella, senza rendersene conto, ha messo in pericolo la vita sua e del piccolo, che è stato prima affidato ad una casa famiglia e successivamente adottato.
La storia si svolge quando Elia ha più o meno una decina di anni e vive serenamente con la sua nuova famiglia e Donatella tenta di rivederlo almeno una volta e alla fine ci riesce.
La cosa che mi ha fatto molto commuovere del film è la delicatezza con cui questo tema è stato raccontato. C’è ovviamente tutta la disperazione di una mamma che non può abbracciare, coccolare, prendersi cura del proprio figlio, ma al contempo c’è tanto rispetto che questa donna ha, sia per suo figlio e per la vita che sta vivendo, sia (alla fine) per se stessa, perché capisce che è arrivato il momento di prendersi cura della propria vita.
Questo personaggio ci insegna che due anime legate come quelle di una madre ed un figlio, non passano un giorno senza stare vicine e toccarsi, anche se i corpi non lo fanno. Ci fa vedere come una donna, benché ritenuta “non sana” a differenza invece di quelle ritenute sane, sia assolutamente in grado di rispettare chi ama e farsi da parte, mentre prende coscienza che un giorno loro due, madre e figlio, staranno insieme di nuovo. Ci fa vedere come le persone che dovrebbero “curare” Donatella, le portano via suo figlio, senza dirle nulla, senza pietà, senza capire che stanno strappando via ad entrambi un pezzo del loro stesso corpo, e lo fanno brutalmente credendo di fare solo del bene.
È davvero bella la scena del film in cui madre e figlio si guardano negli occhi dopo tanti anni e si riconoscono, traspare la complicità che hanno nonostante tutto. Quello che ho colto io è la libertà che si regalano entrambi; lei di far vivere una vita serena e stabile al figlio con la sua famiglia adottiva, e lui regala a lei la possibilità di curarsi e salvarsi standogli lontano, senza sensi di colpa.
A film finito mi sono resa conto di aver pianto tanto, di aver sofferto per quella mamma, ma ho al contempo tirato un sospiro di sollievo perché al contrario del personaggio di Donatella, io e mio figlio viviamo sereni e felici insieme.
Ed ora vivo con più serenità il pensiero che lui, mio figlio, un giorno, prenderà la sua strada, lontano da me, perché questo film ha dato voce ad una cosa che sapevo ma che non riuscivo a razionalizzare: le nostre anime non passeranno mai un giorno senza toccarsi o “farsi il solletico”, come dice Donatella ad un certo punto, e che l’amore, l’affinità, lo scambio che c’è tra una madre ed un/a figlio/a è come dice la canzone di Gino Paoli, colonna sonora del film: senza fine!